Umani da una prospettiva non-umana: “Vampyr” e il mondo dei pipistrelli
Alex Della Pasqua



foto Margherita Caprilli


Nonostante il titolo evochi immediatamente figure gotiche e immaginari notturni, Vampyr di Manuela Infante Güell non parla di vampiri. O almeno, non in senso stretto. Al centro della narrazione non c’è un racconto horror, ma una crisi ecologica reale: quella dei pipistrelli del Cile, che muoiono costantemente a causa dei suoni emessi dalle pale eoliche. Eppure, è proprio la figura del vampiro – l’antropomorfizzazione del pipistrello – a permettere allo spettatore di abitare, temporaneamente, il mondo dei chirotteri. Non è una storia di vampiri, ma dal punto di vista di un pipistrello che si riconosce come umano, e dunque “vampiro”. 

Questa operazione concettuale si fonda sul prospettivismo cosmologico, la filosofia che Eduardo Viveiros de Castro ravvisa nel pensiero delle popolazioni amazzoniche e di gran parte delle Americhe (cfr. Viveiros E., Prospettivismo cosmologico in Amazzonia e altrove,  Quodlibet, 2019, p. 14). Si tratta di quell’aspetto del pensiero, comune a molti popoli del continente, secondo cui il mondo è abitato da diversi tipi di soggetti o persone, umane e non-umane, che colgono la realtà da diversi punti di vista. Secondo tale pensiero prospettico quindi il modo in cui gli umani percepiscono i non-umani differisce profondamente dal modo in cui tali esseri vedono gli umani e sé stessi. Tipicamente, gli umani vedono gli umani come umani ed i non-umani come non-umani. I non-umani, tuttavia, vedono gli umani come non-umani, allo stesso modo in cui i non-umani vedono gli umani come non-umani. Per lo stesso motivo, i non-umani vedono sé stessi come umani: si percepiscono come esseri antropomorfi quando sono nelle proprie case o villaggi ed esperiscono le proprie abitudini e caratteristiche nella forma di cultura. Di conseguenza, i non-umani sono persone, o vedono sé stessi come tali (cfr. Ivi, pp. 34 - 36). In quest’ottica, l’attrazione dei pipistrelli verso le turbine eoliche potrebbe derivare dal fatto che, nella loro prospettiva – come immagina e mette in scena Infante – esse appaiono come luoghi di lavoro: spazi in cui agiscono come operai instancabili, fino a quando le onde sonore emesse dalle pale non finiscono per compromettere i loro organi interni. 

Viene così messa radicalmente in discussione l’idea di un’unica realtà oggettiva. Se il relativismo kantiano e nietzschiano afferma che esiste un solo mondo, conosciuto attraverso molteplici prospettive – per cui non accediamo mai al mondo in sé, ma solo alla nostra visione soggettiva di esso – il prospettivismo cosmologico ribalta il paradigma: tutte le specie conoscono il mondo nello stesso modo, perché ciascuna si percepisce come umana; ciò che cambia non è la prospettiva, ma il mondo stesso che essa dischiude. Da una parte abbiamo quindi un pensiero che istanzia una molteplicità di prospettive ed un unico mondo, dall’altra l’esatto opposto: un’unica prospettiva (quella umana), molteplici mondi. Per questo motivo, l’umanità non è una caratteristica esclusiva degli esseri umani, ma una condizione originaria dell’esistenza. Nei miti nativi si racconta infatti di un tempo primordiale in cui “gli umani e gli animali non si distinguevano tra loro” (Ivi, p. 41), poiché tutti erano costituiti dalla medesima sostanza ancestrale: l’umanità. Solo in un secondo momento, con la trasformazione di questa sostanza comune, ha avuto origine la diversità delle specie e la conseguente moltiplicazione dei mondi.
In scena, dunque, Vampyr non rappresenta una storia, ma un mondo. Non racconta cosa accade ai pipistrelli, ma cosa accade dal loro punto di vista. Il teatro diventa così un ambiente liminale dove lo spettatore è invitato a sospendere la propria prospettiva umana per accedere – seppur temporaneamente – a quella del pipistrello. In questa inversione radicale, gli spettatori diventano i veri “non-umani”, mentre la figura antropomorfizzata del pipistrello-vampiro abita una scena che è specchio della sua realtà: una realtà segnata dalla tragedia dell’industrializzazione, dove le turbine non sono simboli di sostenibilità, ma silenziosi strumenti di sterminio. 




 
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